Vitamina Liposomiale D3 ad alta potenza

Lipovitamine una nuova classe di integratori biodisponibili:

  • tecnologia con nano-emulsioni di lecitina di soia assicurano un assorbimento altissimo;
  • vitamina D3 consegnata direttamente nelle cellule;

La vitamina D presenta numerosi benefici per la salute:

  • Normale assunzione e normale assorbimento di fosforo e calcio e mantenimento di una normale concentrazione di calcio nel sangue.
  • Contribuisce al mantenimento di denti e ossa normali.
  • Aiuta a sviluppare e mantenere una forte muscolatura.
  • Contribuisce al mantenimento delle normali funzioni muscolari.
  • Contribuisce al normale funzionamento del sistema immunitario.
  • sostiene le ossa, i denti e le giunture;

La Vitamina D è una vitamina liposolubile prodotta dal tuo corpo sotto la pelle in reazione all'esposizione alla luce solare. Di conseguenza, nei mesi invernali, o in paesi a larga copertura nuvolosa, il corpo può soffrire di deficienze di questa vitamina essenziale. Svariate ricerche recenti basate sia sulla popolazione normale che su quella atletica si sono concentrate sul ruolo della Vitamina D nel rafforzare la salute delle ossa e del sistema immunitario.



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TECNOLOGIA LIPOSOMIALE

I liposomi sono delle piccolissime - nano - sfere costituite da fosfolipidi combinati con altre molecole in grado di condurre un liquido all'interno di una cellula umana. Un liposoma è una piccola 'nano' bollicina o sfera (vescicola) fatta da un fosfolipide (nel nostro caso, fosfatidilcolina). Questa è la stessa materia di cui consistono le nostre membrane cellulari. I liposomi impiegati in queste Vitamine sono identici a quelli delle cellule umane e pertanto possono fondersi con le membrane cellulari e di conseguenza rilasciare il principio attivo della sostanza che trasportano, in questo caso le Vitamine, rendendole fino a 9 volte più assorbibile rispetto ad altri prodotti/integratori d'uso comune.

I liposomi hanno l'abilità di trasportare carichi di sostanze idro o lipo-solubili, diventando così l'ideale sistema di consegna alle cellule. Quando una capsula o pillola viene ingerita, deve prima passare dalla bocca attraverso il sistema digerente per poi essere finalmente assorbita dall'intestino tenue. Durante questo processo, gli enzimi digestivi nella bocca e nello stomaco, acidi digestivi, sali biliari e varia flora batterica, degradano i nutrienti prima di essere finalmente metabolizzate dal fegato e disponibili per il corpo. Tutto questo processo rallenta e riduce la biodisponibilità dei nutrienti. I fosfolipidi sono resistenti ai vari succhi digestivi.

VITAMINA D E DEMENZA?

La carenza di vitamina D può raddoppiare il rischio di sviluppare demenza e morbo d’Alzheimer. A confermarlo un gruppo di ricercatori della University of Exeter Medical School in uno studio pubblicato sulla rivista Neurology. Dall’analisi dei dati è emerso che le persone con bassi livelli di vitamina D avevano un rischio del 53% superiore di sviluppare la demenza e coloro che avevano una grave carenza di vitamina D hanno avuto 125% di rischio in più rispetto ai partecipanti con livelli normali della vitamina.
Le persone con più bassi livelli di vitamina D avevano quasi il 70% di probabilità in più di sviluppare l’Alzheimer e coloro che hanno avuto una grave carenza invece avevano il 120% di probabilità in più di sviluppare la malattia. “Sono necessari studi clinici - hanno commentato i ricercatori - per stabilire se mangiare cibi come il pesce azzurro o prendere supplementi di vitamina D può ritardare o anche prevenire l’insorgenza dell’Alzheimer e la demenza.

Se fermassimo dieci persone per strada, otto avrebbero carenza di vitamina D. La Vitamina D è poco presente negli alimenti, (se ne trova in maggiore quantità nei pesci) e la carenza è determinata anche dalla mancata esposizione solare.
A partire dai 60 anni, in particolare, si osserva maggiormente un deficit di vitamina D, sia per la ridotta esposizione alla luce solare sia per la diminuita capacità di sintesi da parte dell’organismo.

La carenza di vitamina D favorisce la comparsa di osteoporosi e aumenta, quindi, il rischio di fratture.
La sintesi di vitamina D, un tempo, era per l’80% di origine cutanea sintetizzata grazie ai raggi solari, e per il 20% dagli alimenti. Oggi le percentuali sono opposte: perché non si lavora più all’aria aperta e la luce che filtra dalle finestre non è sufficiente. Per questi motivi la componente di vitamina D sintetizzata con l’aiuto degli UV non è più sufficiente per coprire il fabbisogno. Per gli anziani, le donne in gravidanza e in età pediatrica è fondamentale, non solo consigliata, l’integrazione con vitamina D.

La vitamina D è prodotta a livello dellaa cute grazie alla conversione fotochimica che sfrutta l’energia fornita dai raggi ultravioletti, cioè dalla esposizione al sole. Non dimentichiamo poi che alcuni alimenti come il pesce, le uova e le verdure verdi sono ricchissimi in vitamina D: questo ci spiega come gli eschimesi, che vivono gran parte dell’anno al buio coperti dalla testa ai piedi per non congelare, abbiano in realtà normali livelli di vitamina D grazie a una dieta ricchissima di pesce.
La carenza di vitamina D influenza negativamente il metabolismo osseo: un grave deficit di vitamina D determina rachitismo nel bambino e osteomalacia nell’adulto. La vitamina D favorisce l’assorbimento intestinale di calcio, regola la produzione di paratormone (uno degli ormoni fondamentali nell’omeostasi del calcio), favorisce il rimaneggiamento osseo e la deposizione di nuova matrice. Il silicio è un minerale importante per le ossa

La vitamina D è una vitamina essenziale non solo per il metabolismo osseo (prevenzione osteoporosi) ma anche per aumentare le difese immunitarie, ridurre il peso, prevenire l’insorgenza dei tumori ecc. Nella donna in menopausa è sicuramente consigliabile un’integrazione con vitamina D in base alla reale necessità, prescrivendo il dosaggio giornaliero o mensile in base alle scorte endogene valutabili mediante esame ematochimico. Il grado di supplementazione deve essere quindi individualizzato così come suggeriscono le linee guida onde evitare l’intossicazione da vitamina D. Tuttavia si riscontra di frequente una deficienza di tale vitamina in diverse fasce d’età. Il Ministero della Salute suggerisce nelle linee guida per l’osteoporosi un apporto giornaliero di vitamina D fra le 400 e le 800 UI provenienti dalla dieta e dall’integrazione e l’esposizione al sole per 10 minuti al giorno di viso e braccia per consentire la sintesi endogena di vitamina D.

VITAMINA D FABBISOGNO

L’importanza di un’adeguata assunzione di vitamina D e di calcio è fondamentale per il mantenimento della struttura ossea e per la prevenzione delle cadute nella popolazione anziana. La funzione principale della vitamina D è quella di mantenere le concentrazioni di calcio e fosforo nel plasma in un intervallo che permetta i normali processi cellulari, la funzione neuromuscolare e l’ossificazione. Tuttavia, la vitamina D svolge anche ruoli diversi, non correlati direttamente al metabolismo dei minerali. Le due forme principali di vitamina D sono il colecalciferolo (vitamina D3), che deriva dal colesterolo ed è sintetizzata dagli organismi viventi, e l’ergocalciferolo (vitamina D2), che deriva dall’ergosterolo ed è presente nei vegetali. Per svolgere la sua attività biologica la vitamina D deve subire due idrossilazioni per diventare 1,25(OH)2D, forma attiva della provitamina. La vitamina D può essere introdotta nell’organismo tramite la dieta oppure essere sintetizzata con l’esposizione ai raggi UVB. Il fabbisogno raccomandato di vitamina D è stato portato dai precedenti 10 μg/die agli attuali 15 μg/die nella popolazione adulta e 20 μg/die per la popolazione over 75. Negli Stati Uniti il 40% della popolazione adulta e il 98% della popolazione over 75, non raggiunge i livelli raccomandati di assunzione di 25-idrossivitamina. Secondo gli ultimi dati disponibili, in Italia il consumo giornaliero di vitamina D in uomini e donne adulte è rispettivamente di 3.5 e 2.8 μg/die (8). Uno studio di metanalisi ha descritto una riduzione del 19% del rischio di cadute in individui anziani, con una simultanea riduzione del rischio di fratture, a seguito di un’assunzione giornaliera di 17.5-25 μg di vitamina D.

Solo pochi alimenti, tutti di origine animale, contengono quantità significative di vitamina D. L’olio di fegato di merluzzo ne è ricchissimo (210 μg/100 g). Tra i pesci il salmone e l’aringa ne possono contenere fino a 25 μg/100 g. Tra le carni solo il fegato ne contiene oltre il livello di tracce (0.5 μg/100 g), tra i derivati del latte solo il burro (fino a 0.75 μg/100 g), mentre le uova ne contengono circa 1.75 μg/100 g. La capacità della pelle di sintetizzare vitamina D diminuisce con l’età. Una limitata esposizione al sole o la controindicazione all’esposizione solare nel caso di pazienti con cancro alla pelle può minimizzare la sintesi di vitamina D endogena. Inoltre, nella popolazione adulta sovrappeso e obesa la deposizione della vitamina D nel tessuto adiposo, e la conseguente riduzione di biodisponibilità, peggiora ulteriormente il quadro. La vitamina D svolge un ruolo regolatorio sul sistema immunitario: il recettore per la vitamina D (VDR) è stato identificato nelle cellule Th1 e Th2. 1,25(OH)2D riduce la risposta infiammatoria alle Th1, sopprime la presentazione antigenica da parte delle cellule dendritiche, sopprime la proliferazione e la produzione delle immunoglobuline e ritarda il differenziamento delle cellule B in plasmacellule, esercitando così un’azione inibitoria sul sistema immunitario adattativo. 1,25(OH)2D aumenta anche l’espressione di un peptide antimicrobico, importante per l’immunità determiinnata. La vitamina D svolge pertanto un ruolo sul sistema immunitario ed il claim relativo “La vitamina D è utile per il mantenimento delle funzioni del sistema immunitario” è stato approvato dall’EFSA.

Negli anziani e necessario prestare un’elevata attenzione ad alcuni micronutrienti, a maggior rischio di carenza. Il fabbisogno di calcio e di vitamina D, ad esempio, aumenta in età geriatrica a causa di modifiche ormonali progressive, soprattutto nella donna, che possono portare a demineralizzazione ossea ed aumentato rischio di osteoporosi, fragilità ossea e maggior rischio di fratture disabilita e/o allettamento correlate. L’intake giornaliero di calcio passa da 1000 a 1200 mg nella donna a 60 anni e nell’uomo a 75 anni; l’aumento di intake giornaliero di vitamina D passa da 15 a 20 ug in entrambi a 75 anni. Latte, latticini parzialmente scremati e alimenti fortificati in calcio e vitamina D (come i cereali da prima colazione o l’acqua ricca in calcio) sono le principali fonti alimentari di questi micronutrienti. E importante ricordare al paziente che la vitamina D e sintetizzabile dall’organismo grazie a una adeguata esposizione alla luce solare, consigliando pertanto passeggiate o moderato movimento all’aperto.

L’apporto di calcio con la dieta e la sintesi endogena di vitamina D di regola non sono sufficienti a garantire il fabbisogno raccomandato. In Italia gran parte della popolazione è affetta da ipovitaminosi D perché si consumano meno grassi animali rispetto ad altri Paesi e perché non si adotta l’aggiunta di vitamina D negli alimenti come per legge avviene nel nord Europa. Correggere i deficit di calcio e vitamina D è fondamentale in quanto i due elementi agiscono in modo sinergico con i farmaci specifici per il trattamento dell’osteoporosi nel migliorare la massa ossea e nel ridurre il rischio di frattura.

Vari disordini gastrici e/o intestinali possono portare a problemi digestivi e a carenza di vitamina B12, cosi come problemi renali e di insufficiente esposizione ai raggi solari possono provocare carenza di vitamina D. Per tali motivi gli anziani dovrebbero essere aiutati nelle scelte nutrizionali per soddisfare i corretti bisogni nutritivi. Nella popolazione anziana i LARN (IV revisione italiana dei Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana) indicano un aumentato fabbisogno, rispetto agli adulti, di vitamina B6 (1,7 mg/die per gli uomini e 1,5 mg/die per le donne), di vitamina D (20 μg/die per donne e uomini sopra i 75 anni) e di vitamina K (170 μg/ die per entrambi i sessi).

La vitamina D, un ormone che il corpo umano sintetizza quotidianamente attraverso la pelle grazie all’esposizione solare, è insieme al calcio e alle proteine uno dei tre fattori che aiutano a preservare la massa ossea. Nello specifico consente di ottimizzare la disponibilità di calcio nonché la stimolazione diretta del tessuto muscolare indispensabile per prevenire il rischio di cadute e fratture, un’eventualità sempre più concreta con l’avanzare dell’età.

NUOVI ORIZZONTI DELLA RICERCA SULLA VITAMINA D

Diversi studi epidemiologici hanno mostrato che l’assunzione di questa vitamina attraverso dieta e integratori è inferiore alle 200 UI al giorno nella maggioranza della popolazione, con un conseguente deficit prevalente di questa sostanza. «Generalmente per garantirsi la quantità giusta di vitamina D basterebbe esporre al sole testa, braccia e gambe tre volte la settimana, ma il 70% della popolazione italiana ne è carente.Nel caso degli over 65, ad esempio, la cui cute è meno“recettiva” rispetto a quella di un giovane e non si riesce quindi ad assumerne la quantità necessaria attraverso le vie naturali, mettendo dunque a rischio la salute delle ossa, si può suggerire la supplementazione di vitamina D».

Questa vitamina, tuttavia, potrebbe avere un ruolo anche in patologie di altro tipo. Tale ipotesi, sostenuta da una serie di lavori scientifici che mostrano un’associazione tra carenza di vitamina D e patologie croniche extrascheletriche, merita di essere approfondita con trial clinici su larga scala, sia su pazienti con ipovitaminosi D sia su soggetti che presentano un adeguato stato vitaminico, come è emerso al World Congress on Osteoporosis, Osteoarthritis and Musculoskeletal Diseases (Wco-Iof-Esceo) tenutosi a Firenze lo scorso marzo.

Negli ultimi anni, la scoperta che molti tessuti e cellule del sistema immunitario presentano il recettore per la vitamina D (VDR) ha aperto dunque nuovi orizzonti sulle molteplici funzioni di questo ormone e l’analisi della letteratura scientifica sembra confermare che un adeguato stato vitaminico D non è importante solo per prevenire fratture e patologie ossee, ma potrebbe influenzare positivamente anche l’incidenza di malattie cardiovascolari e autoimmuni, diabete nonché di alcune neoplasie.

VITAMINA D E MALATTIE CARDIOVASCOLARI

Uno dei campi maggiormente indagati è stato quello cardiovascolare, a partire da studi epidemiologici che hanno evidenziato un’associazione tra una carenza di questa vitamina e l’aumentato rischio di problemi cardiovascolari, inclusa l’ipertensione. Ad esempio le osservazioni che la pressione arteriosa, sia sistolica sia diastolica, aumenti con la distanza dall’equatore e che alcuni eventi nonché il numero di ricoveri ospedalieri siano più numerosi in alcune stagioni, suggeriscono che la vitamina D potrebbe avere un ruolo nel modulare la salute e la mortalità cardiovascolari. Un’indagine, condotta in ospedali francesi, ha correlato in particolare l’occorrenza di eventi cardiovascolari importanti alla stagionalità, e dunque al sole, affermando con ciò l’associazione vitamina D e salute cardiovascolare. Già qualche anno fa, l’Health Professional Follow-Up Study aveva verificato i livelli ematici di vitamina D in circa 50.000 uomini sani e, seguendoli per 10 anni, osservava una probabilità doppia di andare incontro a un attacco cardiaco negli individui che presentavano una carenza di suddetta vitamina. Altri lavori scientifici hanno indicato che bassi livelli di questa vitamina sono associati a un rischio aumentato di insufficienza cardiaca, morte cardiaca improvvisa, ictus, malattia cardiovascolare e morte cardiovascolare; studi osservazionali hanno dimostrato che bassi livelli di 25 idrossivitamina D sono associati con un profilo di rischio cardiovascolare avverso e a un aumento significativo del rischio di eventi cardiovascolari. Sulla base di queste evidenze meccanicistiche sono stati avviati anche dei trial clinici che hanno valutato la supplementazione dell’ormone in individui a rischio di malattie cardiovascolari.

Non solo ampi studi di corte, come quello di Bischoff-Ferrari del 2010, ma anche trial clinici, sebbene con una modesta numerosità campionaria, hanno mostrato, ad esempio, che la supplementazione per 8 settimane di vitamina D (800 UI) ha ridotto sia la pressione diastolica sia quella sistolica. Dell’effetto dell’integrazione di vitamina D sui valori pressori si sono occupate anche diverse metanalisi. Una delle più recenti, condotta nel 2015 da Beveridge e colleghi e pubblicata su Jama InternalMedicine, ha riguardato 46 trial randomizzati e controllati-RCT (per un totale di 4.541 pazienti) e ha rilevato una riduzione significativa della mortalità, includendo tutti i trial clinici sulla supplementazione con questa vitamina.

Nuove ricerche sono ancora in corso, in particolare studi clinici volti a determinare se e in quale misura la supplementazione di vitamina D abbia un effetto sugli out come cardiovascolari: lo studio statunitense Vital, ad esempio, di cui si attendono i risultati entro quest’anno, sta valutando, in 20.000 soggetti di età superiore a 50 anni, l’effetto di 2000 UI di vitamina D3 sia sulle patologie cardiovascolari sia in ambito oncologico.

Un ampio studio (DO-HEALTH) testerà la supplementazione di 2000 UI di vitamina D con il placebo per 3 anni su oltre 2.000 senior (+70 anni) su pressione arteriosa e tasso di infezione come primo endpoint e insulino-resistenza come secondo. Oltre a RCT sui outcome clinici complessi, sono in corso anche progetti più ampi, come il progetto quadriennale dell’Unione europea Odin, mirato alla definizione di strategie alimentari per migliorare lo stato di vitamina D nella popolazione generale. Dai risultati di queste ricerche dovrebbero scaturire le strategie più adeguate per la gestione della carenza di vitamina D a livello clinico e della popolazione generale. Per completare il quadro, occorre citare, infine, un recentissimo studio randomizzato e controllato pubblicato da Scragg e colleghi sulla rivista Jama, secondo cui alte dosi di vitamina D non risultano efficaci nella prevenzione della malattia cardiovascolare nel campione preso in esame.

VITAMINA D E LE POTENZIALITÀ IN ONCOLOGIA

«Dall’analisi della letteratura scientifica sono emersi dati interessanti sul ruolo della carenza di vitamina D anche nello sviluppo e nella prognosi di alcune neoplasie – spiega Francesco Bertoldo, responsabile della Struttura funzionale malattie del metabolismo scheletrico e minerale dell’Università degli studi di Verona. – Alcuni studi dimostrano che la vitamina D svolge un ruolo importante nella regolazione della crescita delle cellule tumorali e nel modulare il controllo del sistema immunitario sul cancro. Inoltre i dati epidemiologici hanno dimostrato un aumento della prevalenza di diversi tipi di cancro – in particolare mammella, prostata e colon – nelle aree settentrionali dell’emisfero».

Questi dati – continua Bertoldo – suggeriscono dunque «un legame tra la quantità di esposizione ai raggi UV e, di conseguenza, la sintesi attraverso l’epidermide della vitamina D. Infine, è emerso che tra i pazienti oncologici vi è un’elevata prevalenza di bassi livelli di vitamina D». Le evidenze che correlano un’elevata prevalenza di carenza di vitamina D nei pazienti affetti da cancro meritano pertanto di essere approfondite con studi su larga scala, da condurre idealmente tra individui a rischio di ipovitaminosi D. Anche in questo caso i risultati degli studi ancora in corso potranno chiarire le questioni aperte, incluse le concentrazioni plasmatiche ottimali utili per ottenere un effetto sia nella prevenzione sia nel trattamento di alcune neoplasie.

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CALCIO, VITAMINA D E RISCHIO DI FRATTURE

I ricercatori della Frost&Sullivan si sono proposti di verificare l’efficacia della supplementazione di 1 g/die di calcio e 15 mcg/die di vitamina D nel ridurre il rischio di fratture ossee in una popolazione over 55 a rischio perché affetta da osteoporosi. In Europa soffrono di osteoporosi 27,8 miloni di persone di cui l’80% è di sesso femminile. Ai fini dell’analisi sono stati analizzati i dati di 7 trial clinici pubblicati nella letteratura internazionale.

Complessivamente si stima che nell’Ue nel periodo compreso tra il 2016 e il 2020 il numero di fratture attribuibili all’osteoporosi nella popolazione a rischio target dell’indagine sia 1,24 milioni/anno, di cui 150 mila/anno in Italia. Le fratture ossee attribuibili all’osteoporosi genererebbero una spesa annua in Europa di 26,4 miliardi di euro, quasi 5 miliardi di euro/anno (4.696 milioni) in Italia. La supplementazione con 1 g/die di calcio e/o 15 mcg di vitamina D consentirebbe di prevenire 187 mila fratture in Europa (935 mila in 5 anni), di cui 22mila in Italia.

Osteoporosi senile o involutiva (tipo II): si verifica principalmente in persone oltre i 70-75 anni, colpisce entrambi i sessi, anche se è due volte più frequente nelle donne che negli uomini. È conseguente alla perdita di massa ossea legata all’età, causata dalla diminuzione del numero dei recettori intestinali per la vitamina D attivata, con successiva riduzione dell’assorbimento intestinale di calcio. La riduzione dell’assorbimento intestinale di calcio provoca l’instaurarsi di un iperparatiroidismo secondario, con successivo aumento nella produzione di vitamina D attivata e normalizzazione dell’assorbimento intestinale di calcio, a fronte però di un aumento del turnover osseo.

Sempre legata all’età si riduce l’attività osteoblastica e questo peggiora inevitabilmente lo squilibrio a favore dei processi di riassorbimento. In età senile, l’insufficienza di Vitamina D e l’iperparatiroidismo secondario sono i fattori di rischio più importanti che favoriscono la perdita di massa ossea, in particolare di osso corticale. La perdita di massa ossea interessa, quindi, l’osso corticale, ma anche l’osso trabecolare determinando un aumento del rischio di frattura di femore, omero prossimale, tibia e bacino. Anche la diminuita attività fisica rappresenta un importante fattore di rischio.

Malattie epatiche croniche, cirrosi biliare primitiva: per riduzione dell’attivazione della vitamina D, con conseguente diminuzione della concentrazione ematica di 25OH-vitamina D.

Iperparatiroidismo primitivo: il PTH, ormone sensibile alla riduzione della calcemia in condizioni fisiologiche, stimola il riassorbimento di calcio dall’osso, quando vi è un’alterata produzione di PTH, per alterazione primitive delle paratiroidi o secondarie a deficit di vitamina D o conseguente a forme paraneoplastiche, in particolar modo nel contesto di neoplasie endocrine multiple (MEN1, MEN2A), si determina eccessivo riassorbimento di calcio dell’osso con aumento della calcemie e della calciuria.

Malattie renali croniche: osteodistrofia renale è definito l’insieme delle alterazioni ossee e del metabolismo minerale associate alle patologie renali croniche. I principali fattori responsabili sono l’iperparatiroidismo secondario, le alterazioni del metabolismo della vitamina D e la deplezione di fosfati dall’osso quale compenso dell’acidosi metabolica.

Con il progredire della malattia renale, inoltre, l’accumulo delle tossine uremiche e il deficit di vitamina D comportano una resistenza dello scheletro all’azione del paratormone. Queste alterazioni aggravano l’ipocalcemia, concorrono all’iperparatiroidismo e all’insorgenza ed evoluzione delle lesioni dell’osso.

Malattie ostruttive respiratorie: sono numerosi i contributi che correlano la gravità dell’insufficienza respiratoria, misurata con l’utilizzo degli stadi GOLD con la gravità dell’osteoporosi e il conseguente rischio fratturativo. Si ipotizza che uno dei maggiori meccanismi patogenetici coinvolti sia l’aumentata produzione di citochine, quali l’IL-6 e il TNF-alfa, induttori dell’atrofia muscoloscheletrica. Risulta, inoltre, presente in più del 90% dei pazienti con BPCO un deficit di vitamina D correlabile al degrado funzionale respiratorio.

Familiarità e genetica: la familiarità per fratture influenza il rischio di frattura in modo indipendente dalla BMD. In particolare fratture di femore nei genitori aumentano significativamente il rischio di fratture, soprattutto di femore, nei figli e, in misura minore, di tutte le fratture osteoporotiche. Il patrimonio genetico, infatti, sembra essere il maggior determinante della variabilità interpersonale della massa ossea.

I polimorfismi di geni che codificano il collagene tipo 1 (COLIA1), il recettore estrogenico (ER), quello della vitamina D (VDR) e della calcitonina (CTR) vengono proposti come possibili determinanti genetici del rischio osteoporotico, spiegano, però, solo meno del 30% della varianza della massa ossea, su cui poi agisce lo stile di vita e l’alimentazione e ancor meno del rischio di sviluppare osteoporosi. Esami specifici per patologie associate (es.: ferritina e percentuale di saturazione della transferrina, triptasi, ecc.). metabolismo dell’osso è regolato dal paratormone (PTH), dalla vitamina D nella sua forma biologicamente attiva, ovvero quella idrossilata in posizione 1, 25 e dalla calcitonina; l’obiettivo dell’organismo è mantenere la calcemia costante, sfruttando l’osso come riserva di calcio.

Il PTH, prodotto in caso di diminuzione della calcemia, favorisce il riassorbimento osseo con la liberazione del calcio e aumenta il riassorbimento di calcio a livello renale, inibendo il riassorbimento del fosforo, che aumenta la fosfaturia e favorendo l’eliminazione del bicarbonato, provocando acidosi metabolica; il magnesio regola in modo simile al calcio la secrezione di PTH ed è stato dimostrato che la secrezione del PTH è deficitaria in situazioni di ipomagnesemia grave e costante. La vitamina D attivata stimola il riassorbimento intestinale di calcio e fosforo, nell’osso facilita il riassorbimento in sinergia con il PTH; infine la calcitonina è un ormone ipocalcemizzante, prodotto dalle celllule C della tiroide in caso di aumento della calcemia.

Valutare la calcemia significa considerare che la prima causa di ipocalcemia è l’ipoalbuminemia, quindi non si tratta di ipocalcemia vera, come, invece si può avere in caso di insufficienza renale; per cui per valutare la calcemia occorre considerare la funzionalità renale, l’albuminemia e la protidemia (misurando nell’eventualità il calcio ionizzato, cioè il calcio libero, non legato alle proteine, in particolare all’albumina), la magnesemia, quindi il PTH e la vitamina D, in particolare il 25 idrossicolecalciferolo, che fornisce la stima delle scorte di vitamina D e, quando bassa, si associa ad alti livelli di PTH e fosfatasi alcalina.

Markers specifici del turnover osseo: dosabili nel siero e/o nelle urine, si dividono in marker specifici di neoformazione (isoenzima osseo della fosfatasi alcalina, osteocalcina, propeptide del procollagene di tipo I) e in i markers di riassorbimento osseo (piridinolina, desossipiridinolina, telopeptidi N o C terminali del collagene di tipo I); tali marcatori, attualmente non usati nella clinica routinaria sono utili in contesti specialistici nella stima dei rischi di frattura e nella valutazione della risposta terapeutica o della compliance a un trattamento.

PREVENZIONE E TERAPIA NON FARMACOLOGICA

La prevenzione rappresenta l’approccio più razionale e moderno alla patologia e, insieme con la diagnosi precoce, ne costituisce uno dei fondamenti indispensabili. L’osteoporosi, infatti, è una delle maggiori patologie ossee in cui l’alimentazione e lo stile di vita possono giocare un ruolo fondamentale nel prevenirla e curarla o evitarne/ritardarne la progressione.Aspetti fondamentali della prevenzione sono:
- seguire una dieta bilanciata e varia, con particolare attenzione a calcio e vitamina D;
- praticare esercizio fisico in relazione al peso corporeo e all’età;
- non abusare di alcol e di caffè ed evitare il fumo.

DIETA e VITAMINA D

La dieta deve essere bilanciata nei nutrienti e varia nella scelta degli alimenti, prevede l’assunzione di cinque pasti, di cui tre pasti principali e due spuntini, ogni pasto principale deve essere completo ed equilibrato in carboidrati, proteine e lipidi.

Le frequenze settimanali devono rispettare le indicazioni delle Linee guida che sono state raffigurate graficamente nella piramide alimentare, alla cui base vi è l’attività fisica quotidiana e il consumo di almeno 1,5-2 litri di acqua al giorno, che deve essere ricca di calcio e povera di sodio.

Inoltre i consumi settimanali prevedono:

  • cereali e derivati: 5 porzioni al giorno (patate non più di 2 volte alla settimana);
  • frutta e verdura: 5 porzioni al giorno;
  • latte e prodotti caseari: latte e yogurt fino a 2 volte al giorno, formaggi 2 volte alla settimana;
  • carni, pesci uova legumi: 1-2 porzioni al giorno, di cui carne fino 4 volte alla settimana (1 volta carne rossa), insaccati 1 volta alla settimana, pesce 2-3 volte, uova fino a 4, legumi almeno 2;
  • grassi da condimento: 3 porzioni al giorno, con moderazione, di origine vegetale.

Nella prevenzione dell’osteoporosi l’attenzione deve essere particolarmente rivolta al calcio: deriva soprattutto da latte e derivati (formaggi e yogurt); i prodotti parzialmente o totalmente scremati contengono le stesse quantità di quelli interi ma livelli inferiori di Vitamina D; una buona fonte di calcio deriva anche da frutta secca (ideale come spuntino, senza eccedere nelle dosi, ad es. 2 noci o 3 mandorle), da molluschi, crostacei, legumi e alcune verdure (carciofi, cardi, spinaci, indivia, broccoletti, radicchio).

È importante comunque sottolineare che la biodisponibilità del calcio è massima per il latte e derivati, in quanto la presenza del lattosio ed in misura minore degli altri disaccaridi, favorisce la solubilizzazione del calcio, dal momento che la fermentazione innescata dalla flora batterica abbassa il pH intestinale.

La Società Italiana di Nutrizione Umana-SINU ha pubblicato i Livelli raccomandati di Assunzione giornaliera di Calcio per la popolazione italiana (LARN) in mg/die a seconda dell’età.

L’assunzione di calcio è fondamentale a ogni età e in particolar modo durante la gravidanza, quando deve essere assicurato al feto un rifornimento minerale di almeno 200 mg/die. Diversi studi dimostrano come un corretto apporto di calcio in età giovanile sia alla base del raggiungimento di un picco di massa ossea più elevato e di un minor rischio di fratture. L’assunzione di latte e derivati in età prepuberale avrebbe, però, un effetto maggiore sulla densità ossea rispetto alla sola supplementazione con calcio.

Questo effetto positivo del latte e derivati sulla massa ossea è stato attribuito al fatto che questi non solo hanno un alto contenuto di calcio biodisponibile, ma anche di altri importanti nutrienti (magnesio, vitamina D). Una minore densità minerale ossea è stata dimostrata nei soggetti intolleranti al lattosio alla cui base c’è il ridotto consumo; importante è distinguere le allergie alle proteine del latte (alfa-lattoalbumina, beta-lattoglobulina, caseina) in cui l’assunzione di latte e derivati è vietata, dalle intolleranze al lattosio, da deficit di lattasi in cui l’assunzione di yogurt o di formaggi stagionati (parmigiano, grana, pecorino), poveri di lattosio, può essere tollerata.
Per i casi di intolleranza al lattosio esistono in commercio dei latti speciali chiamati “ad alta digeribilità”, in cui il lattosio è scisso nei suoi due zuccheri componenti, glucosio e galattosio. È necessario, inoltre, sottolineare che non vi è evidenza scientifica di una correlazione tra l’assunzione di calcio con la dieta e la formazione di calcoli renali a base di calcio; nel caso in cui vi sia una predisposizione alla formazione di calcoli renali, di fondamentale importanza è l’assunzione di più di 2 litri di acqua al giorno per permettere una buona diluizione urinaria.

La riduzione dell’apporto di calcio, invece, ha un effetto opposto, in quanto il calcio determina un maggior assorbimento di ossalati nell’intestino e il cui eccesso può facilitare la formazione di calcoli. Altro aspetto fondamentale da considerare nella prevenzione/ terapia dell’osteoporosi e la vitamina D che si trova in piccole quantità in alcuni alimenti come aringhe, tonno, sgombri e nel tuorlo d’uovo; solo il 20%, quindi, del fabbisogno di vitamina D deriva dall’alimentazione mentre la componente principale deriva dalla sintesi endogena a livello cutaneo in seguito all’esposizione solare ai raggi UVB, peraltro sempre più inefficiente con l’avanzare dell’età, cui consegue la frequente necessità di una supplementazione.
La supplementazione con vitamina D (colecalciferolo o ergocalciferolo ovvero D3 o D2), da sola o associata a un corretto introito di calcio, rivelata utile persino in prevenzione primaria. L’approccio più fisiologico sarebbe una supplementazione giornaliera e in concomitanza dei pasti in quanto la vitamina D è liposolubile, tuttavia ai fini di migliorare l’aderenza al trattamento si ritiene accettabile il ricorso a dosi equivalenti settimanali o mensili. Il dosaggio del 25(OH)D deve essere effettuato non prima dei 4 mesi dall’inizio della terapia, tempo necessario per il raggiungimento dello steady state sierico del metabolita.

Secondo American Journal of Clinical Nutrition gli effetti protettivi della vitamina D si esplicano quando la concentrazione nel sangue raggiunge livelli alti, attorno a 30 ng e bastano 15 minuti di esposizione al sole (faccia, mani e braccia) tre volte a settimana al mattino o tardo pomeriggio in primavera, estate e autunno per garantirsi livelli adeguati anche d’inverno. Un ruolo importante è giocato dagli elettroliti come sodio, potassio, magnesio: il sodio in eccesso aumenta le perdite renali di calcio, per cui è buona norma limitare il consumo di sale, salumi, dadi da brodo, alimenti in scatola o in salamoia; il potassio favorisce l’eliminazione di sodio e controbilancia la perdita di calcio; alcuni studi hanno osservato una correlazione diretta tra i livelli di magnesio nel sangue e la massa ossea: maggiore è il livello del magnesio e migliore è la massa; la quantità di magnesio da assumere giornalmente è 450-500 milligrammi al giorno.

Altrettanto importanti sono le vitamine in particolare C e K: è stato dimostrato che la carenza di vitamina C accelera l’osteoporosi, poiché questa vitamina ha un ruolo fondamentale nella costruzione del collagene, stimola la crescita delle cellule del tessuto osseo ed è un potente antiossidante, che contrasta quindi lo stress ossidativo che colpisce l’osso allo stesso modo agisce la vitamina K. Inoltre un deficit di vitamina K comporta una riduzione dei depositi di calcio osseo e un aumento dei depositi nei vasi, alla base dei fenomeni di arteriosclerosi. È facile intuire come esistano numerose evidenze che le diete ricche di frutta e verdura e, quindi, di vitamine e Sali minerali siano associate a una densità ossea nella norma o addirittura superiore alla norma.

ATTIVITÀ FISICA

Diversi studi scientifici hanno dimostrato come l’attività fisica rappresenti un potente stimolo al mantenimento e all’aumento della massa ossea, l’attività migliore è quotidiana (almeno 40 minuti), deve essere svolta a ogni età: in gioventù per stimolare e favorire il raggiungimento del picco di massa ossea, poi per il mantenimento della stessa. Il tipo di attività può essere aerobica o d’impatto o comportante carico (es. jogging, calcio, pallacanestro, pallavolo, baseball, sport con la racchetta, ginnastica) oppure attività di resistenza o di forza (pesistica, body building, uso di strumenti per esercizi statici), in entrambi i casi l’attività offre uno stimolo positivo sulla calcificazione ossea.

Calcio e vitamina D: la loro somministrazione si ritiene adeguata in tutti i pazienti diagnosticati di osteoporosi, indipendentemente da altri trattamenti farmacologici aggiuntivi. Diversi studi controllati con calcio e vitamina D hanno, infatti, confermato la diminuzione del tasso di fratture. L’ ipovitaminosi D è la riduzione dei livelli sierici di 25(OH)- vitamina D (calcifediolo) al di sotto di 30 ng/ml, ulteriormente distinta in: insufficienza: 25(OH)-vitamina D compresa fra 20 e 30 ng/ml e deficit: 25(OH)-vitamina D <20 ng/ml.

La supplementazione giornaliera di vitamina D è circa 800-1000 UI/die ma può aumentare fino a una dose massimale di 2000 UI/die nelle condizioni di severo deficit di vitamina D se vi è assente esposizione solare e ridotto apporto dietetico o ridotto assorbimento intestinale di calcio. In caso di severo deficit di vitamina D si somministra, inizialmente, con una dose di carico (50.000 UI/settimana per 2-3 mesi), per rifornire i depositi, poi si passa a uno schema di mantenimento di 800-1000 UI/die. È importante considerare le diverse forme somministrabili:
calcifediolo o colecalciferolo forniscono il substrato necessario, affinché l’organismo possa produrre da sé, a livello renale, il metabolita attivo, 1,25(OH)-vitamina D o calcitriolo, a seconda delle esigenze. L’attivazione avviene a opera della 1-alfa-idrossilasi a livello renale, la cui attività enzimatica è incrementata dal paratormone (PTH) e da una riduzione della fosforemia mentre è diminuita dall’ipercalcemia, dall’iperfosforemia e dalla presenza di elevate concentrazioni di calcitriolo. La somministrazione di tali composti, metabolita inattivo di vitamina D, non comporta la necessità di monitoraggio della calcemia e della calciuria. Si rende necessaria la somministrazione diretta del metabolita attivo, 1-idrossilato, 1,25(OH)-vitamina D o calcitriolo, invece, in alcune condizioni patologiche in cui l’enzima attivatore funziona meno: ipoparatiroidismo e insufficienza renale cronica.

In questi casi è sempre necessario uno stretto monitoraggio di calcemia e calciuria almeno 2-3 volte l’anno. In caso di eccessiva somministrazione segni clinici di intossicazione acuta e cronica da vitamina D, con concentrazione plasmatica maggiore di 150 ng/ml, sono: nausea, diarrea, poliuria, perdita di peso, ipercalcemia, ipercalciuria, nefrocalcinosi, ridotta funzione renale e calcificazione dei tessuti molli.

Per aumentare vitamina D meglio con l'alimentazione, basta che compri olio di lino e lo usi al posto dell'olio di oliva, 30 grammi di mandorle (alterna anche altra frutta secca) al giorno come spuntini divisi tra mattina e pomeriggio ed a cena pesce (alici, acciughe, sardine, sgombri, tonno, palamita, pesce spada, aguglia, aringa) a giorni alterni.

Dr. Domenico Martini

BIBLIOGRAFIA

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a cura di Simonetta Carducci → leggi la biografia